lunedì 18 luglio 2011

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La verità è che non credo troppo nella scrittura. A cominciare dalla mia. Essere scrittore è gradevole, no, gradevole non è la parola; è una attività che non manca di momenti molto divertenti, però conosco altre attività ancora più divertenti, divertenti nel senso in cui per me è divertente la letteratura. Essere rapinatore di banche, per esempio. O regista cinematografico. O gigolò. O essere di nuovo bambino e giocare in una squadra di calcio più o meno apocalittica. Sfortunatamente il bambino cresce, il rapinatore lo ammazzano, il regista resta senza soldi e il gigolò si ammala e allora non ti resta più altra alternativa che scrivere. uso la parola scrivere come antonimo di aspettare. Non c'è attesa, c'è scrittura. Comunque è assai improbabile che mi sbagli e anche la scrittura sia un'altra forma di attesa, di dilazione. mi piacerebbe cerdere di no. Ma come ho detto è molto prtobabile che mi sto sbagliando. riguardo al mio canone, non so, quello di tutti, mi fa perfino vergogna dirlo, tanto è ovvio. Aldana, Manrique, Cervantes, los cronistas de las indias, sor Juana, fray Servando Teresa de Mier, Pedro Henriquez Urena, Ruben Dario, Alfonso Reyes, Borges per nominarne alcuni e senza uscire dal territorio della nostra lingua. Naturalmente, mi piacerebbe avere un passato letterario, una tradizione molto corta  nel tempo, che comprendesse solo due, forse tre scrittori (e magari nessun libro), una tradizione amnesica e fulminante. ma da un lato provo un pudore eccessivo rispetto lla mia opera e dall'altro lato ho letto troppo (e ci sono stati molti libri che mi hanno reso felice) per potermi permettere di incorrere in una simile barbarità